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Storia del Comune

Comune fondato nel 1277 dai Conti di Luserna, anticamente denominato “Montebobbio”. Per la Valpellice potrebbero essere scritte tante storie, ma andiamo con ordine… La Valle fu popolata dal Neolitico come testimoniano alcune incisioni rupestri. Si trattava di diverse tribù, di lingua pre-indoeuropea, insediate nell'Italia del nord. Quando i Romani le hanno conosciute, verso il I secolo a.C., queste popolazioni primitive erano già mescolate ai Celti (o Galli). Molte tracce del loro passaggio sono rimaste nella toponomastica, che, a causa di questa mescolanza, si definisce "celto-ligure". I Romani erano interessati ad assicurarsi i transiti alpini verso la Gallia, attraverso il Moncenisio e il Monginevro. L'avvento del cristianesimo nelle Alpi Occidentali risale al IV secolo. Per quanto riguarda la Valpellice si ipotizza che la sua cristianizzazione possa essere attribuita a San Marcellino, vescovo di Embrun. Nel IX secolo giunsero i Saraceni: ne rimangono testimonianze nell'archeologia, nel linguaggio, nella toponomastica, come Moumaou e Barma dar Servagge nella Coumba di Charbounié e nei cognomi quali: Salvay, Salvagiot, Morel. La loro cacciata definitiva avvenne verso il 985, lasciando le vallate alpine spopolate e disorganizzate. Alla fine di questo periodo si ebbe lo sviluppo dei grandi monasteri, come quelli di Abbadia Alpina, Staffarda, Santa Maria di Cavour. Alle famiglie signorili che avevano collaborato alla cacciata dei Saraceni, furono assegnate in premio i feudi, tanto che l'undicesimo secolo segnò l'inizio della storia della feudalità nella valle. I veri padroni della Valpellice furono i signori omonimi, suddivisi in tre rami principali: Manfredi, Rorenghi e Bigliori, che estendevano il loro dominio fino a Bibiana, Campiglione e Fenile. Nel corso del XVI secolo fiorì l'emancipazione comunale: ogni paese reclamava la propria autonomia fiscale, economica e legale di fronte ai signori. La Rivoluzione francese anche nella valle, unitamente al periodo napoleonico, portò aria di libertà. La caduta di Napoleone segnò il ritorno dei Savoia negli antichi possedimenti: fino al 1848, la valle non avrebbe più goduto di libertà costituzionali. Da quella data in poi, le vicende della valle seguirono le tappe della storia d'Italia.

Come gli altri centri del bacino, piccoli e grandi, anche Bobbio Pellice fu profondamente segnato dalle guerre di religione del XVI e XVII secolo ed in specifico, si registrarono episodi particolarmente tragici nel 1565, quando Emanuele Filiberto di Savoia pensò di far edificare, poco oltre Villanova, il Forte Mirabuc, al fine di meglio controllare il passaggio dei profughi protestanti tra la Francia ed il Piemonte e nel 1655 a seguito delle Pasque Piemontesi.

In questa occasione infatti le milizie sabaude capeggiate dai Marchesi di Pianezza si scatenarono in una vera e propria “caccia all'eretico” lungo l'intero corso del Pellice e, occupate Villar e Bobbio, costrinsero i borghigiani locali alla fuga o all'abiura, sotto la minaccia di morte..

Poco sotto la Conca del Pra, addirittura, 36 fuggiaschi furono sepolti da una slavina, presso la località che ancora oggi è conosciuta come Pian dei morti.

Inutile dire che i due abitati vennero saccheggiati e semidistrutti dalle truppe di occupazione.

L'11 Novembre 1571 ed il 18 Aprile 1564, rispettivamente a Bobbio e a Villar si tennero importanti riunioni di Riformati, a noi tramandate come la stipulazione del Patto dell'Unione (in cui tutte le parrocchie delle Valli si promisero solidarietà ed accordo reciproco) e la convocazione di un Sinodo, ove si decise di approvare e seguire integralmente le “Ordonnances calviniane”, sancite a Ginevra nel 1542.

Nel 1794, il villaggio fu teatro di aspri combattimenti tra l'esercito piemontese e le forze rivoluzionarie francesi che, valicato il Colle dell'Urina, scesero il versante italiano del passo per diffondere ed esportare la loro rivolta.. Respinte dai più organizzati soldati subalpini queste orde si rifugiarono nel già citato Forte di Mirabuc e lo distrussero.

Durante la guerra di liberazione dal nazismo, nel paese accaddero alcuni fatti di notevole portata, che ebbero protagonisti i partigiani della 5^ Divisione Alpina GL “Sergio Toja”; tra questi potremo ricordare l'assalto alla locale caserma della milizia repubblichina (i militi per le loro divise nere erano conosciuti come “moru”), avvenuta nel Febbraio del 1944 con la pericolosa tecnica definita “s-ciancun” (ovvero il lancio di bombe da mortaio con una semplice corda usata a mo di fionda) che costò 41 prigionieri ai fascisti, numerosi rastrellamenti e la notissima battaglia di Rio Cros (al confine tra Bobbio e Villar), ove persero la vita ben 60 miliziani (che avevano attaccato con 300 uomini, due caccia tedeschi, due carri armati ed armi pesanti e si erano trovati opposti solo 15 ribelli – 3 Febbraio 1944).

I motivi artistici del paese, a ricordo della sua storia, sono:

•la chiesa parrocchiale , dedicata a N. D. Assunta, risalente al 1386 (anche se col titolo di Santa Maria), ma distrutta dai Valdesi nel 1561 fu ricostruita ed ancora atterrata dai Religionari nel 1603.

L'attuale edificio è del 1738 e, tra il 1801 ed il 1816, durante la soppressione della parrocchia, fu addirittura utilizzato come magazzino per il carbone.

•il tempio protestante ebbe una storia analoga: costruito per la prima volta nel 1555 fu ripetutamente distrutto; lo stabile attuale, decentrato rispetto al precedente (del quale peraltro è rimasto in piedi il campanile) è del 1690 e per la sua edificazione, furono utilizzate le pietre tratte dalle rovine dell'antica chiesa cattolica

•Fino al 1603 sorgevano anche templi valdesi nelle frazioni Armaglii, Cairus e Romana. Alcuni ruderi, in questi nuclei, testimoniano ancora l'esistenza ditali luoghi di culto.

•In località Sibaud, un bel monumento in pietra eretto nel 1889 in occasione del bicentenario del famoso giuramento che i Valdesi, a seguito della Glorieuse Rentree allo scopo di mantenere tra di loro l'unità militare e la solidarietà. Sul cippo sono incisi i nomi delle parrocchie protestanti delle Valli e delle principali città italiane in cui esistono templi.

I VALDESI: Quel che nel passato ha caratterizzato in modo determinante le “Valli Valdesi”, di cui fa parte Bobbio, è stato la loro lunga e tribolata storia che si riallaccia ad uno dei più vivaci e fecondi periodi della storia medievale europea. Ed è quindi non solo utile, ma necessario per comprendere la cultura del luogo, analizzare brevemente la nascita e lo svolgimento storico del movimento valdese, negli otto secoli della sua esistenza. L’aggettivo Valdese, per chi lo abbia già udito, richiama oggi alla mente due realtà distinte seppur collegate tra loro: una chiesa e una regione. Anzitutto una chiesa evangelica, cioè protestante, attiva in Italia da parecchi secoli che, pur contando poche decine di migliaia di membri, è significativa per il posto che occupa nella vita italiana: si tratta infatti della più antica comunità cristiana non cattolica costituitasi e vissuta in Europa prima della Riforma Protestante. In secondo luogo Valdesi indica una zona: due vallate del Piemonte occidentale (Pellice e Chisone-Germanasca) che dipartendosi da Pinerolo si dirigono verso le Alpi, dette ancora oggi “Valli Valdesi”. Non è però né la comunità religiosa, né la zona piemontese ad aver dato origine al nome Valdese; si parlava di valdesi assai prima che esistessero l’una e l’altra, in pieno Medioevo, da quando cioè un personaggio minore (di quelli che sono appena menzionati nei libri di scuola), un certo Valdès o Valdesio (comunemente detto Pietro Valdo), vissuto a Lione intorno al 1160-80, attraversò una crisi spirituale che lo condusse a prendere la decisione di vivere come gli apostoli. I suoi discepoli, scomunicati dalla chiesa romana, dispersi attraverso l’Europa e perseguitati dall’Inquisizione, furono costretti a vivere la loro fede in modo clandestino. Uno dei loro centri maggiori fu appunto l’area delle valli piemontesi e delfinatesi. All’inizio del 1500 aderirono in modo massiccio alla Riforma Protestante rivendicando la libertà di adorare Dio secondo coscienza. Repressi dagli eserciti franco-sabaudi, costretti all’esilio nel 1686 rientrarono tre anni più tardi nelle loro terre con una spedizione nota come il Glorioso Rimpatrio. Con le Regie patenti di Carlo Alberto nel 1848 ottennero la parità civile e politica di cui si servirono per evangelizzare l’Italia. Attualmente fanno parte della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.

LINGUA OCCITANA: L’occitano o lingua d’oc è una lingua del gruppo galloromanzo meridionale parlata in particolare nella Francia meridionale e, seppure in modo minore, in Spagna, a Monaco. In Italia l’occitano è parlato nelle valli occitane del Piemonte, nonché a Guardia Piemontese in Calabria, dove tale parlata è legata ad un antico insediamento di valdesi. La denominazione occitano deriva dal termine òc che significa sì. Questa parola viene scelta anche da Dante Alighieri nel suo De vulgari eloquentia. Occupandosi della classificazione delle lingue romanze, Dante sceglie la parola utilizzata nelle diverse lingue per dire”sì”, e distingue così tra lingua d’oil, la forma antico-francese usata all’epoca di Dante per il francese moderno oui, e lingua d’oc. Proprio dall’espressione francese langue d’oc deriva il nome della regione Languedoc o Linguadoca. La parolina oc divenne subito popolare, tanto che ne furono derivate le forme latine occitanus e Occitania. Il periodo di massimo splendore e diffusione delle lingua e cultura occitana si ebbe tra i secoli XI e XIII, caratterizzato da una assai ricca fioritura letteraria, culminata con la lirica dei trovadori medioevali. Dopo l’invasione della Linguadoca nel 1229 da parte del re Luigi VII e alla crociata contro gli Albigiesi, la lingua occitana iniziò ad essere considerata una lingua “inferiore”rispetto alla langue d’oil parlata nella Francia settentrionale. Il Midi viene progressivamente assorbito dal regno di Francia e il francese(originario della Francia del nord) diventa la lingua dell’amministrazione e del potere politico. Questo processo viene ulteriormente accelerato dall’editto di Viller- Cotterêt del 1539, che impone su tutte le terre sotto sovranità francese l’uso del francese di Parigi. La lingua francese assume poi una valenza strategica in quanto simbolo e garanzia di unità nazionale. Narrare la storia e la cultura della Valpellice in poche righe è un’impresa ardua, per questo vi segnaliamo una bibliografia/sitografia sull’argomento da consultare per approfondimenti e curiosità: Giorgio Tourn – “I Valdesi – la singolare vicenda di un popolo-chiesa” Teofilo G. Pons – “Vita montanara e folklore nelle valli valdesi” Arnaldo Pittavino – “Storia di Pinerolo e del Pinerolese” Jean Jallà – “Legend des Vallées Vaudoises” Jean Prieur – “La Province Romaine des Alpes Cottiennes” www.fondazionevaldese.it